numero 14
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26 luglio 2010
Medicina e Arte
Vedendo un quadro: The Doctor
Prof. Luigi Pagliaro


articolo tratto da libro:
"Medicina basata sulle evidenze e centrata sul paziente"
del Prof. Luigi Pagliaro
 
Il Pensiero Scientifico Editore








Il quadro riprodotto in copertina fu dipinto da Luke Fildes nel 1891, è intitolato “The Doctor” ed è esposto nella Tate Gallery di Londra. È un quadro con una storia interessante, e stimola chiavi di interpretazione non irrilevanti anche per la medicina di oggi. 

1. La storia 

Nel 1887, Henry Tate commissionò a Luke Fildes, già allora pittore di fama, un quadro per la nuova National Gallery of British Art. La commissione non indicava un soggetto, che fu scelto dallo stesso Fildes. Alla base della scelta del pittore si possono ipotizzare due motivazioni. 

La prima: nel 1877 Fildes aveva perduto un bambino, ed era rimasto profondamente commosso dall’umanità e attenzione del medico curante, di nome Dr Murray, verso il figlio morente. Dunque, “The Doctor” ritrae un Dr Murray, della cui esistenza nel-l’Inghilterra di un secolo fa il quadro è la sola memoria. 

La seconda: Fildes era molto vicino al movimento riformista, ed è autore di quadri a forte contenuto sociale (il più noto è “Applicants to a Casual Ward”, del 1874). Questa componente della personalità di Fildes è evidente nella povertà della stanza,miseramente mobiliata, nel giaciglio del bambino, adattato su due sedie, nell’atteggiamento sottomesso dei genitori. Siamo nell’Inghilterra vittoriana; la povertà, la prigione per debiti, lo sfruttamento dei minori trovano testimonianza nei libri di Charles Dickens (morì cinquantottenne nel 1870); del 1888 sono i delitti mai risolti di Jack lo Squartatore nei sordi-di slums dell’East End. 

“The Doctor” fu esposto per la prima volta nel 1891, ed ebbe un folgorante successo. Si narra che la moglie del pittore non poté avvicinarsi al quadro a causa della grande folla che giorno dopo giorno andava ad ammirarlo (1). In Inghilterra e negli Stati Uniti, “The Doctor” fu riprodotto in francobolli, e le sue stampe furono presenti per molti anni negli studi medici, negli ospedali e nelle farmacie. Fu soprattutto grazie alla popolarità dovuta a “The Doctor” che nel 1906 Fildes divenne “Sir” Luke Samuel Fildes. Anche oggi, la popolarità di “The Doctor” nei Paesi di lingua inglese non è estinta: lo testimoniano un editoriale di WA Silverman pubblicato su Controlled Clinical Trial nel 1992 (1) e intitolato “Doctoring: from Art to Engineering”, e la sua riproduzione sulla sopracopertina di “Science and the Quiet Art”, un libro di DJ Weatherall pubblicato nel 1995 dalla Oxford University Press (2) (Da una citazione dell’Eneide, “the Quiet Art” è la medicina, e D J Weatherall fu Editor delle prime tre edizioni dell’Oxford Textbook of Medicine, oggi alla sua quarta edizione – forse il miglior trattato di medicina esistente). 

2. “The Doctor”: alla ricerca di interpretazioni 

Il distinto dottore che guarda con aria pensierosa il bambino malato è stato evidentemente chiamato a una visita domiciliare. La luce tenue che entra dalla finestra si confonde con quella fiocamente prodotta dalla lampada accesa: è l’alba, o forse sera. In un suo scritto, lo stesso Fildes preciserà di aver dipinto l’alba. Non sappiamo qual è la malattia del bambino, non sappiamo da quanto tempo il dottore è in quella stanza, non sappiamo se il bambino sopravvive o muore. Possiamo però liberamente immaginare. Anzitutto, la malattia del bambino è certamente grave; potrebbe essere una polmonite, molto frequente e non raramente fatale alla fine del secolo scorso (in Inghilterra, attorno al 1900 la mortalità per polmonite era di oltre 2.500 per milione e per anno (3). L’atteggiamento 

del dottore fa ipotizzare che egli sia lì da qualche tempo – forse alcune ore. È l’alba, la lampada accesa fa pensare che la veglia al capezzale del bambino duri dalla notte. Non sappiamo come finisce la storia, ma sappiamo che Fildes aveva perso un bambino, e che il quadro è una sorta di omaggio al medico che l’aveva seguito senza successo. Possiamo perciò immaginare che nella notte la polmonite del bambino fosse arrivata a una crisi, e che il bambino non sia poi sopravvissuto. Del resto – nel 1891 – contro la polmonite (presumibilmente pneumococcica, la più frequente) il medico era praticamente disarmato. Si usava largamente il salasso. Nonostante Louis ne avesse dimostrata già nel 1835 l’inefficacia con una delle prime sperimentazioni mai effettuate (4), il salasso sopravvisse a lungo: era ancora consigliato per il trattamento della polmonite nel 1923 (2). Un manuale Merck dell’epoca (1899) riporta oltre 80 trattamenti per la polmonite: fra questi, oltre al già citato salasso, le terapie vescicanti (“blistering”), i senapismi, la digitale,il chinino, i salicilati. 

3. The Doctor: qualche riflessione 

Se con l’immaginazione trasferissimo all’oggi la vicenda riprodotta nel quadro, la scena sarebbe molto diversa: il bambino sarebbe ricoverato in un reparto pediatrico, il medico indosserebbe un camice e guarderebbe – forse più che al bambino – allo schermo di un monitor che lo informa sulla saturazione di ossigeno, sulla frequenza cardiaca e sulla pressione arteriosa; conoscerebbe dall’esame radiologico l’estensione della polmonite, e dal laboratorio il germe responsabile e l’antibiogramma; avrebbe a disposizione antibiotici efficaci, e, se necessario, interventi rianimatori di emergenza; se avesse dubbi terapeutici, potrebbe ricercare al computer le “evidenze” più aggiornate e valutarle secondo le regole di EBM. Queste risorse darebbero al bambino probabilità assai più alte di sopravvivere di quelle che aveva all’epoca di Fildes. 

Eppure, come osserva l’editoriale di Silverman (1): “ i medici trovano difficile capire un paradosso: riveriti quando erano relativamente inefficaci (come “the Doctor”), essi si trovano sempre più soggetti a critiche oggi, quando per la prima volta sono capaci di cambiare il decorso atteso di molte malattie fatali o inabilitanti”. Forse questo accade perché il possesso e la gestione di tecnologie e rimedi di grande efficacia può trasformare il medico in un “esperto” che ripara o guarisce guasti biologici, ma che ha perso la capacità di vedere il malato come una persona, e di stabilire con lui quel particolare rapporto umano che Spiro definisce “empatia” (5) (vedi sezione sull’empatia). È esperienza (o impressione) di chi scrive che quando ci si ammala si ha bisogno non solo di sentirsi al centro di un sistema efficace e ben funzionante, ma anche del rapporto di fiducia con un medico per il quale non si è soltanto “un altro caso”, ma una persona che ha bisogno d’aiuto, per guarire o -al limite -per allontanare la sofferenza. Deriva dalla frequente insufficienza di questo rapporto il crescente ricorso alle medicine alternative (6), senza basi biologiche, senza prove di efficacia clinica -ma professate da medici (e da non medici) che hanno da offrire -a malati reali o immaginari -più tempo, più attenzione, più (in buona o malafede) manifestazioni di empatia. 

Il centro del quadro è il dottore, i genitori sono relegati alla periferia. È stato osservato (anche qui con qualche fantasia) che questa costruzione riproduce una visione medicocentrica, paternalistica, della medicina. Il medico è il depositario della scienza e della saggezza, e le sue decisioni sono trasmesse a un paziente che le segue, senza conoscerne le ragioni o il possibile risultato.(7) Se questo è uno dei significati del quadro, bisogna dire che esso non è in linea con l’etica medica attuale, i cui principi contengono l’obbligo – per 

il medico – di rispettare l’autonomia, il diritto all’informazione, le preferenze del paziente, in un difficile equilibrio con la responsabilità di operare le scelte che ritiene migliori. (8, 9) 

Il messaggio del quadro è tuttavia chiaro: il medico non dovrebbe abbandonare un paziente (un piccolo paziente, in questo caso) anche se non dispone di risorse terapeutiche, se è necessario sacrificare il sonno, se la povertà del “cliente” azzera le prospettive di guadagno economico. È un messaggio che forse va principalmente diretto alle Università. È stato osservato infatti che “gli studenti iniziano la loro educazione medica con un carico (“cargo”) di empatia, ma noi insegniamo loro a vedersi come esperti che aggiustano quel che è danneggiato” (4). Questo modello di educazione medica dovrebbe cedere il passo a un modello diverso, che insegni come l’esercizio della medicina richieda una buona dose di equilibrio fra conoscenze scientifiche e umanità (“empatia”), fra autonomia e responsabilità, fra fiducia nel progresso e cautela nell’adottarne i prodotti. E poiché una immagine si ricorda più di lunghi discorsi, “The Doctor” potrebbe contribuire all’educazione medica illustrando il bisogno di arricchire, o mantenere, l’umanità dei giovani studenti. 

BIBLIOGRAFIA 

1. Silverman WA. Suspended Judgement. Doctoring: from art to engineering. Controlled Clinical Trial. 1992; 

13: 97-9 


2. Weatherall D. Science and the Quiet Art. Oxford: Oxford University Press, 1995 


3. McKeown T. The Role of Medicine: Dream, Mirage or Nemesis? Nuffield Provincial Hospitals Trust, 1976. Traduzione italiana diM Cottone, presentazione di L Pagliaro. Palermo, Sellerio, 1978 


4. Louis PCA. Recherches sur les effets de la saigné. Paris, Baillière 1835; riportato in: Wade OL. Adverse Reaction to Drugs, London: W. Heinemann Medical Books, 1970: 3-4 


5. Spiro H. What is empathy and can it be taught? Ann Intern Med 1992; 116: 843-46 


6. Kaptchuk TJ, Eisenberg DM. The persuasive appeal of alternative medicine. Ann Intern Med 1998; 129: 1061-5 


7. Brody H. The Family Physician: What sort of person? Fam Med 1998; 30: 589-93 


8. American College of Physicians. Ethics Manual. Fourth Edition. Ann Intern Med 1998; 128: 576-94 


9. Loewy EH. Textbook of Medical Ethics. Ch. 


10. The ongoing dialectic between autonomy and responsibility. New York, Plenum Medical Books, 1989: 6775 


Contributo pubblicato su Il giornale italiano di cardiologia pratica, ottobre 2003, editor Carlo Fernandez 

Contributo pubblicato su Bif, Bollettino Informazione sui Farmaci, ANNO X N. 5-6 2003 

Questa non è pubblicità commerciale, ma una segnalazione ai nostri lettori nel rispetto del progetto editoriale Timeoutintensiva (N° 11/12 Dicembre 2009). 


 
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